L’insediamento greco in Sicilia, avvenuto intorno alla seconda metà dell’VIII sec. a.C., fu non una forma di assoggettamento, ma bensì un semplice spostamento di popolazione desiderosa di nuovi spazi. I Greci trasmisero il loro sapere alla nostra isola e fecero sentire la loro influenza anche nell’ambito religioso; così, dopo i primi tentennamenti, riuscirono ad accattivarsi la simpatia del popolo Sicano.In questo periodo di fusione fra la cultura ellenica e quella siciliana, si accentuano il culto della bellezza e l’amore per la terra. A tal proposito si inserisce la leggenda di Cerere, dea delle messi, e di sua figlia Proserpina: la giovinetta fu rapita da Plutone, re degli inferi, la quale suscitò l’ira della madre. Dopo varie peripezie, Cerere e Plutone arrivarono ad un accordo, grazie anche all’intervento di Giove, stabilendo che per due terzi dell’anno Proserpina sarebbe rimasta con la madre sulla terra e per un terzo con Plutone: così si giustificherebbe l’alternarsi delle stagioni, con la prevalenza, in Sicilia, del tempo mite. Furono costruiti molti templi dedicati alle varie divinità greche e le affascinanti opere d’arte andarono ad incastonarsi nello stupendo scenario dell’isola. La Sicilia importava dalla Grecia soprattutto ceramiche dipinte, mentre, quasi sicuramente, esportava prodotti esclusivamente agricoli. I Greci insoddisfatti del proprio regime politico, sentirono l’esigenza di allargare i propri confini spostandosi appunto in Sicilia, tuttavia riprodussero il modello di società greca con tutte le sue contraddizioni e conflittualità. Così nel 600 a.C. avvennero delle lotte interne che diedero vita ad un periodo di stasi (lotte tra classi sociali). In questo contesto determinante è la figura del legislatore Caronda, il quale impose delle leggi scritte per frenare i conflitti sociali.I primi coloni greci furono Ionici venuti da Calcide: si insediarono a Naxos, Zancle (Messina), Lentini, Catania ed Imera. A questi fecero seguito i Dorici Corinzi provenienti dall’isola di Corfù, nel 733 a.C.; fondarono Siracusa e successivamente Camarina. Tale insediamento apportò influssi positivi per queste zone che fiorirono prestigio e potenza.
I Dorici Megarici, invece, fondarono Megara Hyblaea che in poco tempo divenne uno dei centri più floridi della Sicilia.I Dorici provenienti da Rodi e da Creta fondarono Gela all’inizio del VII sec. ed Agrigento un secolo più tardi.Tra la fine del VII sec e l’inizio del V, dallo squilibrio sociale nacque la tirannide come potere arbitrario (come sostiene Jean Hurì ). Il primo tra i più cruenti dei tiranni fu Falaride, ad Agrigento, che, appropriandosi indebitamente di una ingente somma di denaro, affidatagli per la costruzione di un tempio a Zeus, corruppe dei mercenari per impadronirsi del potere: riuscì nel suo intendo mettendo in atto un massacro.Si dice inoltre, che egli avesse una particolare inclinazione gastronomica per i neonati ( che non aveva nulla a che fare con la succulenta tradizione culinaria ellenica ) e la sua crudeltà lo portò addirittura a fare costruire un enorme toro di bronzo, dove faceva uccidere tutti coloro che aveva in antipatia, ma il primo a morire fu proprio colui che lo costruì. A Gela, furono famosi due fratelli: Cleandro e Ippocrate; nel 485 a.C. tiranneggiavano contemporaneamente Gelone a Siracusa, e Terone ad Agrigento. Tuttavia nonostante i loro difetti, i due tiranni, per quasi un secolo, riuscirono a fronteggiare i Cartaginesi salvando così ancora la tradizione ellenica in Sicilia. Nella famosa battaglia di Imera, avvenuta nel 480 a.C. (forse nello stesso giorno della battaglia di Salamina)i Cartaginesi furono sconfitti con gravissime perdite per l’armata punica. Gelone dopo la grande vittoria, avendo percepito una grossa indennità di guerra dai Cartaginesi, incrementò le opere pubbliche Gela ed aumentò la circolazione di monete.Alla tirannide seguì un breve periodo denominato interludio democratico (V sec. a.C.) di cui non si possiedono molte notizie. L’ideologia politica di questa fase presentava analogie politiche con il sistema politico ateniese. A differenza del mondo greco, però si trattò di una “democrazia oligarchica”: infatti a Siracusa vi erano due organi costituzionali l’assemblea popolare ed il consiglio; i membri del secondo non venivano estratti a sorte come ad Atene, ma eletti; così per paura di una restaurazione della tirannide, nacque il “Petalismo” ovvero la consuetudine di mandare in esilio gli uomini più in vista . Nel 450 a.C. Atene dimostrò interesse politico verso la nostra isola e strinse un patto di amicizia con Segesta e Lentini ed intervenne a fianco nella prima guerra contro Selinunte e Siracusa. L’esercito ateniese ebbe la peggio e pochi furono gli ateniesi che tornarono a casa nel 415 a.C..A tale proposito, lo storico Mack Smith sottolinea la testimonianza di Plutarco, rivelatrice dello spirito di grecità, base dell’essere siciliani, secondo la quale furono liberati e tornarono a casa gli ateniesi che conoscevano a memoria i versi di Euripide. Selinunte tornò all’attacco contro Segesta e quest’ultima fu costretta a chiedere aiuto a Cartagine: la vittoria Cartaginese segnò perfino il saccheggio di Akragas. In questo frangente si inserì la figura di Dionisio, il quale prese il comando dell’esercito, dando così inizio al secondo periodo di tirannide caratterizzato dai connotati di una sorta di dittatura militare. Dionisio venne riconosciuto tiranno di Siracusa e la parte orientale della Sicilia fu denominata Epikrateia, una sorta di provincia Cartaginese. A Siracusa si verificò il succedersi di cinque tiranni; il primo fù appunto Dionisio il vecchio, che venne definito da Aristotele come il più alto esempio di crudeltà, creò il nepotismo, divento bigamo e rubò anche agli dei. Questa politica portò i Siracusani a degradarsi dal ruolo di cittadini a quello di sudditi. Tutt’oggi, rivisitando alcuni luoghi di Siracusa, si avverte la tristezza di quel particolare periodo storico, come ad esempio avviene ascoltando l’eco della propria voce nel famoso orecchio di Dionisio, suggestiva costruzione naturale dove pare che il tiranno ascoltasse i segreti dei prigionieri politici. Dopo la morte di Dionisio il vecchio prese potere suo figlio Dionisio il giovane, il quale non aveva alcuna preparazione politica e quindi fu costretto a nominare come ministro Dione, che fu accusato ingiustamente di tradimento e quindi esiliato. Ma, dopo alcuni anni, tornò a Siracusa con dei mercenari e venne accolto come un liberatore; ma stabilitosi a Lentini non riuscì a prendere le redini del comando e fu assassinato.Dopo questo evento la Sicilia conobbe un lungo periodo di anarchia che causò gravi disaggi. Una parte dell’isola sentì il bisogno di appoggiarsi a Cartagine, mentre l’altra chiese aiuto a Corinto che mentre l’altra chiese aiuto a Corinto che inviò un esercito comandato da Timoleonte, il quale sconfisse i Cartaginesi e si stabilì a Siracusa. In questo periodo l’economia siciliana si riprese e quando nel 337 a.C. Timoleonte si ritirò, frantumandosi così quel minimo di stabilità politica, balzo alla ribalta Agatocle.
In questo periodo l’economia siciliana si riprese e quando nel 337 a.C. Timoleonte si ritirò, frantumandosi così quel minimo di stabilità politica, balzo alla ribalta Agatocle. Pare che questo fu il più cattivo tra tutti i tiranni: durante un colpo di stato fece trucidare circa 4000 persone appartenenti alle classi privilegiate. Nel 289 a.C. finì assassinato a sua volta per motivi di successione al potere. Dalla linea politica adottata dai tiranni tuttavia possiamo rilevare anche un aspetto positivo in quanto pare che avesse un comune fine: una sorte di unificazione della Sicilia. Alla colonizzazione Greca in Sicilia si riallacciano varie leggende riguardanti soprattutto il nostro vulcano Etna. Una di esse racconta dell’innamoramento, non ricambiato, di Polifemo per la ninfa Galatea che si era invece invaghita di un pastore siciliano di nome Aci, ciò portò Polifemo, in preda a folle gelosia, a scagliare un masso di lava contro Aci, gli dei avendo pietà dei due giovani fecero in modo di ricongiungerli eternamente trasformando Aci in un fiume così da potersi riunire in mare con la sua amata (si può ammirare nel parco di Acireale una scultura che rappresenta questa leggenda). Passeggiando per l’incantevole Acitrezza, incontriamo i “faraglioni” che ci riconducono ad una simpatica leggenda che descrive l’avventura dell’astuto Ulisse con Polifemo. Quest’ultimo cercò di uccidere l’eroe, ma che però riuscì a cavarsela accecandolo e suscitando la sua ira, Polifemo lanciò dei grossi massi di lava contro la nave di Ulisse senza però colpirla: tali scogli furono chiamati “faraglioni” cioè “ribattenti di spume”.I siciliani spiegavano i fenomeni sismici dell’Etna attribuendoli all’agitazione dei giganti che si ribellarono a Giove, il quale li punì incatenandoli all’interno del vulcano. In riferimento all’Etna, in Piazza Università, uno dei lampioni sta a ricordare la leggenda dei fratelli Pì: essi durante una colata lavica salvarono i loro genitori paralitici e la lava riverente si ritirò al loro passaggio.La tradizione gastronomica siciliana ha subito vari influssi dal mondo greco che le ha conferito una particolare raffinatezza. Un celebre gastronomo greco di nome Archestrato di Gela ci ha tramandato due ricette marinare “il Palamito”: avvolto in foglie di fico, profumato con un pizzico di origano e arrostito nella cenere calda e la “Nunnata”:sarde piccolissime gettate in olio bollente e condite con erbe aromatiche.

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