Dal 1713 in Sicilia si susseguirono tre governi stranieri. Il primo fu quello Piemontese, che durò per cinque anni, ma che incontrò enormi ostacoli nell’orgoglio dei siciliani, soprattutto quando furono scelti dei settentrionali per le cariche di ministri e di giudici. Dopo una lunga battaglia avvenuta nel 1719 a Francavilla, tra eserciti austriaci e spagnoli, la Sicilia passò nelle mani degli austriaci.I due governi dimostrarono dapprima molto entusiasmo nel voler risollevare le condizioni precarie dell’economia siciliana. Ma ne i piemontesi ne gli austriaci seppero imporsi ad una società così tanto legata all’immobilismo, cosicché tutti i loro programmi fallirono. Nel 1734 un’altra lotta fra spagnoli ed austriaci lasciò la Sicilia nelle mani spagnole così fù di nuovo unita a Napoli. Sul trono siciliano salì Don Carlos divenuto re con il titolo di Carlo III. Quando poi gli fu donato il trono di Spagna, abdicò in favore del figlio Ferdinando che assunse il titolo di Ferdinando IV di Napoli e Ferdinando III di Sicilia.

Ecco una filastrocca rivelatrice della grande antipatia nei suoi confronti: (come riportata dal Santi Correnti):

“Fosti IV e insieme III,Ferdinando, or sei primero:e se seguita lo scherzo finirai per esser zero”

I Borboni di Napoli cercarono di migliorare la situazione della Sicilia . ma, nello stesso periodo l’economia Siciliana retrocedeva ancora a causa di alcuni fattori negativi: metodi primitivi di coltivazione; assenteismo dei proprietari; aumento della siccità.Le forti differenze di temperatura del Nord-Africa portarono nell’isola un’immensa quantità di locuste che impedirono il libero fluire dell’acqua nelle condutture, arrecando gravose siccità.
Nel XVIII secolo fù di considerevole importanza la gabella, un’imposta che ancora una volta aggravava la situazione economica dei contadini. In tale periodo si favorì la costruzione di strade e ponti per facilitare i contatti commerciali con altri paesi. Ma l’aristocrazia siciliana assunse un atteggiamento di inettitudine ostacolando così ogni forma di progetto stradale. Nonostante ciò, si distinsero uomini illustri come il principe di Niscemi e il principe Biscari di Catania che nutrì per trenta giorni il popolo catanese straziato dall’avvenimento sismico del 1693. Ecco che re Ferdinando senza rinunciare al suo potere assoluto cercò di sollevare la complessa situazione economica della Sicilia. Più tardi affidò il governo della Sicilia a Domenico Caracciolo, in quanto voleva instaurare nell’isola una politica di riforme che favorisse il progresso. Per riuscirvi avrebbe dovuto rivolgersi ad una ricca borghesia, soprattutto evoluta. Ma una classe del genere in Sicilia non era ancora presente. Infatti il Caracciolo, consapevole delle difficoltà, non accettò volentieri la carica di viceré (1781). In ogni caso cominciò il suo programma di riforme attaccando il Santo Uffizio e imponendo tasse alla proprietà terriera. Quando nel 1789 Napoli fu invasa da Napoleone III, Ferdinando, grazie all’aiuto offertogli da Nelson, si rifugiò a Palermo, accolto bene dai palermitani che credevano di aver ottenuto l’indipendenza da Napoli. All’ammiraglio Nelson, come ricompensa donò un vasto feudo e il titolo di “Duca di Bronte”. ( A questo si ricollega la leggenda sulla pantofola della reggina Elisabetta, preziosa calzatura che fu talismano della escalation militare di Nelson finché non perdette il suo potere magico per colpa della curiosità tutta femminile dell’amante del duca, segnando di lui la morte a Trafalgar). In realtà il re considerava l’isola come una fonte di reddito e sul piano economico, per la Sicilia, fù questo un periodo di perdite perché molto costoso si rivelò mantenere il re e la sua corte. Quando Napoleone decise di riunire il Regno delle due Sicilie, Ferdinando chiese aiuto alle forze britanniche. Durante la permanenza degli inglesi, la Sicilia sembrò aver trovato rimedio alla sua decadenza. Ci fu un boom dell’industria del commercio e dell’artigianato.Con il congresso di Vienna il Regno di Napoli fu restituito a Ferdinando, il quale assunse il titolo di “Ferdinando I Re delle due Sicilie”. Così, tornata l’isola all’assolutismo, la Sicilia rimase con la sua struttura medioevale mentre nelle altre parti d’Europa ( vedi rivoluzione francese del 1789) si apportavano delle profonde innovazioni.
Gli avvenimenti dei primi decenni del 1800 evidenziarono lo scontento del popolo siciliano e i patrioti siciliani, dopo l’annessione della Toscana, dell’Emilia-Romagna, della Lombardia, del regno Sabaudo accrebbero i contatti con i capi del movimento unitario italiano. Si ebbero così movimenti guidati da Crispi e poi dal Francesco Riso. Ciò convinse Garibaldi ad accorrere in aiuto dei siciliani, seguito da più di mille volontari. E’ questa la famosa spedizione dei Mille, con le loro camice rosse e foulard verdi, avvenuta l’11 maggio 1860 con lo sbarco a Marsala. Era tutto pronto per attuare un’insurrezione popolare che portasse all’unificazione italiana. Tre giorni dopo lo sbarco a Marsala molti furono i “picciotti”, chiamati così gli insorti siciliani, che indossarono le uniformi garibaldine. Si impadronirono di Salemi, dove il generale si fece proclamare “dittatore” a nome di Vittorio Emanuele II. Dopo la presa di Milazzo si assistette alla definitiva sconfitta borbonica e Garibaldi potò, così, attraversare indisturbato lo stretto e giungere fino a Napoli. Si arrivò così dopo un’ultima battaglia sul Volturno, alla conquista dell’Italia Meridionale. Garibaldi non ebbe molto tempo per riorganizzare l’isola e dovette affrontare anche la questione sociale: cercò di riparare ai torti subiti da migliaia di contadini, ma si verificò un’occupazione spontanea dei vecchi latifondi (nella sommossa di Bronte Garibaldi fu costretto ad una severa repressione).Le masse popolari comunque, stavano prendendo coscienza delle proprie forze. Ciò spaventò le classi privilegiate, che preferirono fare affidamento sulla politica del Cavour e accettare l’annessione al governo piemontese. Il 21 ottobre del 1860 la Sicilia fu annessa all’Italia. Dopo l’unificazione si acusò il fenomeno del brigantaggio considerato da alcuni un movimento armato di protesta sociale. Esso non era un fenomeno esclusivamente criminale, ma anche espressione di un profondo malessere che avrebbe richiesto un’azione politica attenta e sensibile. Non era stata effettuata, infatti, la riforma agraria e le terre non erano state distribuite a chi le lavorava e le tasse erano anzi aumentate. Solo nel 1866 il brigantaggio fu stroncato lasciando piaghe profonde, incomprensioni, problemi irrisolti che ritardarono moltissimo il processo di unificazione fra Nord e Sud ed anzi ne esasperarono i contrasti e le differenze sociali ed economiche.