Gli interessi della corona d’Aragona si erano indirizzati già da tempo verso le grandi isole del Mediterraneo e soprattutto verso la Sicilia. Infatti Giacomo il Conquistatore aveva dato in moglie al figlio Pietro ( il futuro Pietro III) la figlia di Manfredi, Costanza, sicché, quando il 31 marzo 1282 scoppiò in Sicilia la “guerra del Vespro” e la maggior parte dei francesi presenti nell’isola vene trucidata, Pietro III decise audacemente di tentare la carta siciliana ed accettò la corona offertagli dal Parlamento; per di più non gli venne meno neppure l’entusiasmo della massa popolare, che riconobbe in lui l’erede della tradizione Sveva. Tuttavia ilo compito del re, anche se era ben voluto dai baroni e da altre classi sociali, era piuttosto gravoso. Infatti egli dovette, all’interno dell’isola, eliminare tutte quelle insoddisfazioni che avevano determinato la caduta del regno Angioino e all’esterno fronteggiare le coalizioni anti-aragonesi che miravano a tagliare fuori dalla politica europea la corona iberica. In seguito a questi avvenimenti, Pietro III fu costretto a lasciare l’isola, ma dinanzi al Parlamento riunito a Palermo assegnò alla moglie Costanza la reggenza della corona e stabilì che alla sua morte le due corone (quella aragonese e quella siciliana) dovessero rimanere separate: la prima doveva andare ad Alfonso e la seconda a Giacomo. Nel 1285 moriva Pietro III e la successione al trono siciliano spettò a Giacomo II secondo i voleri del padre e nello stesso tempo Alfonso III saliva al trono aragonese. La distinta successione portò in un primo momento ad una stretta collaborazione dei due fratelli, ma poi cominciarono le divergenze fra interessi aragonesi ed interessi siciliani. L’improvvisa morte di Alfonso III pose fine alla rivalità e Giacomo II chiamato a succedergli in Aragona, ignorò la disposizione che voleva le due corone separate ed affidò al fratello minore Federico la reggenza del regno isolano. Egli credeva che con l’Aragona e la Sicilia nelle sue mani potesse sempre più accrescere la sfera di influenza politica aragonese nel Mediterraneo. La reazione del popolo siciliano all’operato di Giacomo II, fu favorevole, in quanto un forte vincolo legava i sudditi isolani al proprio re: la comune esperienza politica di quegli anni di assestamento e la saggia amministrazione dell’isola dovuta alle capacità del re.Infatti i cronisti siciliani ricordano il regno di Giacomo II come un periodo di grande tranquillità e di grande prosperità per tutti gli abitanti dell’isola. Ma l’autonomia politica dell’isola venne minacciata quando Giacomo II si mostrò disposto a cedere l’isola per risolvere positivamente i suoi problemi come re d’Aragona. Di fronte a questo radicale mutamento della politica aragonese, i siciliani si resero conto che per difendere la propria indipendenza dovevano contare solo sulle proprie forze e decisero di proclamare loro re il reggente Federico. Con il lungo regno di Federico III si apre in Sicilia un periodo di vera e propria autonomia politica. Il giovane re si circondò degli uomini migliori dell’isola e si accinse ad organizzare la resistenza del suo regno anche contro lo stesso re d’Aragona. La reazione alla nuova ribellione fu violenta e si concretizzo con una spedizione Angioino-Aragonese contro l’isola che si concluse con quel capolavoro della diplomazia Federiciana che è il noto trattato di Caltabellotta (1302). Con esso, infatti, Federico conservava l’indiscusso dominio del regno che dopo la sua morte sarebbe passato agli Angioini. La tregua che subentrò a tale accordo diede la possibilità a Federico III di rivolgere la sua attenzione ad altri problemi fra cui l’espansione siciliana verso l’Africa e verso il Levante.
La guerra, purtroppo, ricominciò nel 1312 e durò, ad intervalli, fino al 1372 con alterne vicende. Questa situazione fece si che l’entusiasmo man mano si dileguasse e venisse meno la coesione e la forza fra le genti di Sicilia, inoltre le crescenti pretese dei baroni misero in difficoltà l’autorità regale. La nobiltà, infatti, era sempre stata tenuta a freno dalla forte personalità di Federico, ma alla morte del re, emersero evidenti i primi eloquenti sintomi di quella crisi interna che investì ogni aspetto della vita siciliana. Gli anni successivi furono testimoni di una grave dissoluzione della società. L’invidia, nei confronti delle nuove feudalità Catalano-Aragonese, determinò l’urto con la nobiltà siciliana e, nelle lotta per l’avvicendamento al poter, le diverse correnti politiche avviarono l’isola verso la guerra civile e l’anarchia. Pietro II d’Aragona, succeduto al padre , ereditava un regno molto provato, che attraversava uno dei momenti più critici della sua esistenza. Il re, resosi conto delle difficoltà della situazione, accettò che il più intelligente e capace fratello Giovanni assumesse il Vicariato del regno. Giovanni mise fine alla politica di debolezza, arrestò le discordie interne e reagì con una energica politica estera. Alla morte di Pietro II, Giovanni continuò a reggere lo Stato nel nome del piccolo Ludovico. Domate alcune rivolte e ristabilita le tranquillità interna, Giovanni procedette al riassestamento finanziario dello stato e alla riorganizzazione delle forze militari e navali. Ma la sopraggiunta morte del vicario, falciato dalla peste nel 1348, riportò la situazione siciliana nel caos. L’accresciuto potere del baronaggio e la mancanza di qualsiasi sentimento di attaccamento alla corona siciliana caratterizzarono il periodo relativo alla reggenza del piccolo Ludovico. Quando il re divenne maggiorenne la situazione sembrò mutare e i baroni lo seguirono per un po’, ma poi l’interesse particolare accentrò l’anarchia che sembrò volere agevolare il ritorno degli Angioini nell’isola. La situazione era appena migliorata, quando sopravvenne la morte del giovane re. Le lotte e la rivalità tra i baroni continuarono anche sotto il regno del malaticcio Federico IV, e, malgrado qualche tentato accordo, l’autorità reggia non trasse alcun giovamento. Dopo la scomparsa di Federico IV la parabola del regno si avviò verso la sua conclusione. Infatti, con il matrimonio di sua figlia Maria con Martino il giovane, nipote di Pietro IV d’Aragona, il regno di Sicilia, dopo alterne vicende, passa sotto la corona spagnola cessando di esistere come autonoma realtà politica. E’ difficile immaginare quale sia stato il prezzo pagato dall’isola e dagl’isolani per circa 90 anni di guerre. Il reddito pubblico venne in massima parte speso nelle guerre, i nemici che riuscivano a sbarcare facevano di tutto per esaurire le risorse dell’isola, rovinando le tonnare e sradicando vivai di aranci, bruciando foreste e uccidendo greggi. Inoltre avventurieri armati approfittando delle continue lotte civili fra i vari baroni e fra i baroni medesimi e la corona d’Aragona, riuscirono ad accumulare ingenti fortune. Tuttavia c’è da dire che non tutte le attività isolane erano compromesse dalle guerre intestine: esistevano mercanti e banchieri, i porti più importanti erano in piena attività ed i ricchi si adornavano con preziosi monili d’oro. E’ evidente quindi che dove c’erano i mezzi e la volontà di adoperarli, la ripresa economica poteva essere anche abbastanza rapida e lucrosa, sia pure per una sparuta minoranza. Con l’unione del regno di Sicilia con quello d’Aragona nella persona dello stesso re, Alfonso V detto il Magnanimo, ha inizio per l’isola l’epoca del Viceregno. Il dominio di Alfonso è stato considerato come il periodo durante il quale la Sicilia emerse dal Medioevo; infatti questo sovrano, che amava essere considerato un mecenate, creò a Catania la prima università siciliana e amò circondarsi di dotti al pari della migliore tradizione signorile italiana. Tuttavia il suo regno si può considerare interessante dal punto di vista culturale, solo se paragonato al vuoto dei due secoli precedenti.
Dal punto di vista economico, l’impegnativa politica estera di Alfonso e dei suoi successori costrinse l’isola al continuo pagamento tributi, senza che si fosse provveduto a nuove tecniche per risanare il settore finanziario ed amministrativo. Le zone abitate e coltivate si ridussero solo alle immediate vicinanze dei castelli feudali; di conseguenza si formarono delle esigue minoranze estremamente ricche, acuendo il disaggio e i rancori della restante popolazione, quasi la totalità, immensamente misera, unica interessata al ripristino di una solida e florida economia siciliana su scala generale. A peggiorare la situazione contribuì la scoperta del Nuovo Mondo; il conseguente e successivo sfruttamento delle risorse li trovate, spostò i grandi mercati dalla via obbligata della Sicilia, sulla quale, per colmo di sventura si abbatterono carestie, pestilenze, mentre dilagava il brigantaggio, retaggio delle misere condizioni ambientali.In seguito, coinvolta nella guerra di successione spagnola, la Sicilia, con il trattato di Utrecht (1713) venne assegnata a Vittorio Amedeo II di Savoia. Così, dopo tanti anni, aveva fine il dominio spagnolo, indicato come un periodo di sfruttamento di decadimento e di oscurantismo. Tuttavia sarebbe difficile dimostrare una totale influenza della Spagna nella vita e nella società siciliana, che pur visse sotto gli spagnoli tutta la sua storia moderna. La Sicilia, infatti, fu solo una parte della vasta geografia dell’impero spagnolo ed il governo dell’isola ebbe sempre un carattere meno impegnativo di quello delle Fiandre e dei Paesi Bassi e presentò meno problemi di fronte ai profondi rivolgimenti cui andò incontro tutta la civiltà occidentale nei secoli XVI e XVII. Va sottolineato, inoltre, che l’amministrazione dell’isola, a parte la carica Viceregia, fu lasciata nelle stesse mani dei siciliani, ai quali fu dato anche di poter disporre di tante cariche politiche, cedute dalla corona in pagamento dei debiti contratti. Agli stessi siciliani, obbiettivamente, va dato il carico di molte di quelle angustie, di cui soffrirono gli isolani: il cosiddetto “Municipalismo”, per esempio, tanto deleterio alla vita politica e culturale, non fu certo stimolato dalla corte spagnola, la quale, però, non fece mai nulla per ovviare ne a questo ne a tanti altri mali del regno. Esso, infatti, avrebbe richiesto ben più profonde risoluzioni e più coraggiose iniziative, che, sin dal tempo del primo predominio spagnolo, avrebbero potuto riportare su un binario di più moderna evoluzione quelle deviazioni, che già cominciarono ad incidere negativamente sulla vita siciliana della fine del XIV e del XV secolo.