L’apicoltura è l’allevamento di api allo scopo di sfruttare i prodotti dell’alveare dove per tale si intenda un’arnia popolata da una famiglia di api. Le arnie “razionali” sono quindi le strutture modulari strutturate con favi mobili dove l’apicoltore ricovera le api. Le arnie più primitive non avevano favi mobili ed erano dette bugno o “bugno villico”. Malgrado le specie allevate siano diverse, per la sua produttività ha netta predominanza l’Apis mellifera. Il mestiere dell’apicoltore consiste sostanzialmente nel procurare alle api ricovero e cure, e vegliare sul loro sviluppo; in cambio egli raccoglie una quota discreta del loro prodotto, consistente in: miele, polline, cera d’api, pappa reale, propoli, veleno.
Praticata in tutti i continenti, questa attività varia a seconda delle varietà delle api, del clima e del livello di sviluppo economico dell’agricoltore, e in essa pratiche ancestrali come l’affumicamento si mischiano a metodi moderni come l’inseminazione artificiale delle regine.
Tale allevamento è branca della zootecnica, seppure intesa in accezione ampia, e viene insegnata a livello accademico nei moduli di apicoltura come attività zootecnica, per quanto riguarda le scienze e tecnologie delle produzioni animali, nei corsi di zootecnia in medicina veterinaria, e nei corsi di zoocolture nell’ambito di scienze biologiche e naturali.
Il primo apiario nacque probabilmente raccogliendo uno sciame allo stato selvatico. Più tardi, man mano che si padroneggiarono le tecniche di “accasamento” delle api, comparvero i primi alveari artificiali, fatti probabilmente di tronchi cavi o di scorza di sughero.
Nella storia dell’apicoltura, particolare importanza riveste l’arnia in cesta di paglia o di vimini, che veniva impermeabilizzata con una copertura in creta e sterco. In questo caso si richiama l’attenzione sull’uso greco di porre i cesti rovesciati verso l’alto con una serie di legnetti ed una copertura di pietra o di corteccia. In tale caso i favi venivano spesso costruiti dalle api appesi ai legni mobili posti superiormente e la sfasatura delle pareti, analoga a quella naturale dei favi, non provocava la saldatura alle pareti tipica altrimenti di questi “bugni villici”: erano le antesignane delle arnie moderne a favi mobili. Si afferma poi sicuramente un tipo di arnia o “bugno villico”, costituito da quattro assi poste a formare un parallelepipedo vagamente piramidale con un imbocco leggermente più piccolo rispetto alla parte terminale. Quest’ultima veniva chiusa da uno sportellino rimovibile. L’origine di tali ricoveri per le api si perde nei secoli e il loro utilizzo, in maniera quasi immutata, è continuato fino a qualche decina di anni fa. L’uso e l’allevamento delle api è comune a molte culture: da quella egizia, che li ha effigiati nelle decorazioni tombali, a quella greca e romana, che inseriva con sapienza il miele nella propria alimentazione, codificandone l’uso gastronomico. Virgilio, nelle “Georgiche” descrive le tecniche apistiche. Il miele è poi citato anche nelle religioni ebraiche e musulmane dove “fiumi di latte e miele ristoreranno i guerrieri morti valorosamente per la fede”. In tutta Europa, nel diradarsi della cortina che avvolge l’alto Medio Evo, troviamo gli evidenti segni di rinascita e razionalizzazione dell’agricoltura, tramite l’opera degli ordini religiosi monastici. Il binomio apicoltura e religione poi, per vari motivi, rimane sempre una costante fino ai nostri giorni. Non bisogna infatti dimenticare, ad esempio, che la cera vergine rappresentava la materia prima delle candele che rischiaravano i luoghi di culto (da alcuni decenni si utilizzano candele bianche in paraffina e stearina).
Sin dall‟antichità l‟uomo si è rivolto all‟ape per procurarsi miele e covatadi cui cibarsi e cera per vari usi. All‟inizio il rapporto tra uomo e ape era di tipo “cacciatore –preda”, in quanto i favi venivano prelevati in natura dalle cavità ove le colonie vivevano, senza che l‟uomo ne avesse il possesso. Tale situazione è raffigurata nelle incisioni rupestri, le più antiche delle quali si trovano nel Bacino del Mediterraneo. Ampiamente conosciuta è quella della grotta Cueva de la Arana, nel Levante spagnolo (Bicorp, Valencia), risalente a oltre 7.000 anni fa, raffigurante il raccoglitore di miele; questa sembrerebbe essere la prima raffigurazione di una scena apistica (Barbattini e Fugazza, 2006).L‟apicoltura era già praticatanell‟antico Egitto; evidenziano l’importanza, non solo economica, che l‟ape rivestiva, probabilmente a causa del fatto che, vivendo in una società particolarmente laboriosa con a capo l‟ape regina,costituiva un simbolo perfetto per rappresentare la regalità, tanto che il prenome dei Faraoni veniva preceduto dall‟espressione “colui che appartiene al giunco e all‟ape: re dell‟Alto e Basso Egitto” (Ramsete,II 1224-1290 a.C.). Numerosi sono, inoltre, i reperti archeologici di epoca greca e romana. Nell’antica Grecia l‟apicoltura era diffusa e l‟ape era ripresa in diverse rappresentazioni artistiche, tra le quali si può includere la numismatica con la produzione di monete di elevato valore artistico e la decorazione di ceramiche che venivano utilizzate come doni dal valore simbolico. Nell’antichità le attività apistiche sono state del tutto empiriche e le nozioni elementari sulle quali esse si basavano venivano tramandate da una generazione all’altra. Ciò non ha impedito, tuttavia, che nell’area del Mediterraneo si sviluppassero forme di allevamento ad alto grado di specializzazione, principalmente in Spagna, Grecia, Malta, Sicilia, dove insieme all’affinamento delle tecniche si sono sviluppati miti legati all’ape o all’attività apistica. In Mesopotamia si venerava Lulal “l‟uomo del miele” identificato con il dio Latarak, adorato a Uruk. Luoghi e centri famosi per i loro intrecci con le produzioni apistiche sono allineati lungo le coste del Mediterraneoe includono principalmente la Grecia, l‟Egitto, la Sicilia.Nel Mediterraneo erano 15 le sottospecie di Apis melliferapresenti e allevate, ciascuna con proprie caratteristiche legate all‟ambiente dove si era sviluppata. In Sicilia le prime documentate notizie sull‟apicoltura risalgono all‟epoca della Magna Grecia: Teocrito, nel 300 a. C., decantava il miele e le api di Ibla. Negli Iblei l’apicoltura era certamente importante ancor prima dell’invasione greca e lo fu in particolare nell’area di Pantalica ove, dal 1250 al 700 a.C., secondo gli storici, si trovava la capitale dello stato siculo del mitico Hyblonre del popolo delle api. I greci colonizzarono e modificarono profondamente la complessa società dei siculi, e, presumibilmente, introdussero le tecniche apistiche apprese dagli egizi. Tali tecniche sono state in seguito perfezionate durante le dominazioni romana, bizantina e araba dell’isola. I pastori siculi ripresero dai greci e ne fecero oggetto di culto, il mito dell’eroe libico Aristeo, figlio di Apollo e Cirene, il quale, appresa dalle ninfe l’arte di allevare le api, di coltivare la vite, l’olivo e di fare il formaggio, diffuse le sue conoscenze in tutta la Grecia e nelle colonie.
L’importanza dell‟apicoltura in Sicilia è testimoniata da diversi ritrovamenti archeologici; oltre alle monete coniate in epoca greca negli Iblei raffiguranti l’ape, nel 1979 è venuta alla luce, durante uno scavo condotto lungo il basso corso del fiume Irminio, la “Fattoria delle api”. Si tratta di un complesso edilizio, caratterizzato da una disposizione funzionale a forma di “L”, che presumibilmente era adibito alla produzione
del miele,considerando la similitudine dei resti archeologici con le fattorie delle api scoperte in diverse località dell’Attica, regione greca che vantava il miele più pregiato del mondo antico prodotto sul monte Imetto, miele al quale poteva paragonarsi solo quello “distillato dalle sicule api iblee”. Le conoscenze scientifiche le tecniche apistiche tradizionali venivano praticate sulla base di scarse conoscenze sulla struttura sociale e sulla biologia delle api. Nell’antica Grecia, ad esempio, si credeva, rifacendosi a quanto affermato da Aristotele (V sec. a. C.), che a capo della colonia vi fosse il renon essendo concepibile che potessero esistere società dominate dal sesso femminile i fuchi, prividi pungiglione non potevano essere maschi; di conseguenza le operaie, che curavano la covata e svolgevano mansioni non maschili, essendo munite di pungiglione dovevano essere ermafroditi in grado di riprodursi senza fecondazione. Qualche secolo prima di Aristotele, Esiodo, poeta greco, aveva tuttavia, ipotizzato che le api operaie che lavoravano nell’alveare fossero femmine. Anche i romani avevano scarse conoscenze di biologia apistica e spesso le api venivano confuse con altri insetti, in particolare con i ditteri sirfidi, i cui adulti sono assidui visitatori dei fiori e hanno colori del corpo che richiamano quelli delle api. Anche Virgilio (I sec. d. C), cadde in quest’errore, scrivendo, riferendosi al mito del “toro da cui nascono le api”, che le api nascevano dalle carogne dei bovini putrefatti, scambiando per api i ditteri sirfidi. Nel XV secolo, Savonarola (1452-98) considerava le api un esempio di organizzazione, sostenendo che esse “… avendo più d’uno re che le guidi e le governi, ammazzano il più debole e restano col migliore”. Tali credenze sono state accettate e tramandate dagli apicoltori fino al 700. Da allora iniziò, infatti,un susseguirsi di scoperte che sono alla base delle attuali conoscenze sull’ape mellifera e sulla sua biologia. L’apicoltura, nel corso dei millenni, ha acquisito specifiche caratteristiche nelle varie zone in cui è stata praticata in relazione alle differenti condizioni ambientali e sociali che le hanno caratterizzate.